La cucina piemontese è tra le più variegate nel panorama italiano: dagli antipasti ai primi, dai secondi ai dolci, non si fa mancare nulla e sa sfruttare al meglio le risorse della propria terra. La posizione del Piemonte, che gode di panorami molto diversi, dalla montagna alla pianura, ha influito non di poco sull’offerta gastronomica di questa regione, davvero ricca e diversificata. Le radici affondano nella realtà contadina, che tuttavia incontra la sofisticatezza degli ambienti reali dei Savoia.
Il Piemonte è molto conosciuto per la lunga tradizione di vini, eccellenti e numerosi in questa terra, che vengono spesso utilizzati in cucina per aromatizzare e cucinare alcuni dei piatti tipici: il brasato al Barolo, per esempio, sfrutta il sapore robusto e deciso di uno dei vini più pregiati delle Langhe per rendere morbida e succosa la carne regina del Piemonte, ovvero la fassona, la razza di bovini piemontese doc.
La carne di fassona, soprattutto servita cruda, per la qualità della carne, magra e tenera, è uno degli ingredienti principe anche degli antipasti: la carne cruda all’albese (o albèisa) oppure la battuta di fassona sono piatti presenti sui menù di ogni ristorante. L’albèisa consiste in fettine di carne cruda molto sottili, condite con succo di limone, olio extra vergine, sale e pepe, mentre la battuta è il pezzo di carne che viene “battuto” (ovvero tagliato) rigorosamente a mano con il coltello, fino a ottenere dei pezzi molto piccoli, simili alla tartare. Anche in questo caso il condimento ideale è succo di limone, olio extra vergine, sale e pepe, ma è ottimo l’abbinamento anche con delle scaglie di Grana Padano oppure di tartufo.
Un altro antipasto eccellente è il vitel tonnato, che spopolava negli anni Ottanta su ogni tavola. Il taglio della carne da utilizzare è il girello di fassona, marinato nel vino bianco assieme agli odori e poi bollito nella sua marinatura. Una volta cotto, la carne viene tagliata molto sottile e condita con una salsa a base di tonno sott’olio , acciughe, capperi, tuorli d’uovo, aceto, fondo di cottura e limone. La versione tradizionale piemontese non prevede l’utilizzo della maionese, ragione per cui questo piatto mantiene una leggerezza che lo rende un ottimo entrée.
La lingua di vitello in salsa verde è un piatto adatto a tutte le stagioni, irrinunciabile nella cucina piemontese: la carne viene sottoposta a una lunga cottura, che ne assicura la morbidezza, e viene poi servita accompagnata da un altro super classico piemontese, ovvero il bagnet vert, una salsa di un verde brillante a base di aglio, prezzemolo, acciughe, olio e mollica di pane imbevuta di aceto. Il bagnet vert, così come il bagnet ross (la versione “rossa”, a base di pomodori, carote, cipolle, peperoncino, aceto e olio) sono due ottimi accompagnamenti anche per il tomino, un formaggio fresco grasso o semi grasso, a pasta molle, di latte di vacca oppure misto, con un sapore fresco e acidulo.
Impossibile citare il bagnet vert e ross e non soffermarsi su uno dei piatti più famosi e sostanziosi della cucina piemontese: il gran bollito misto. Solitamente, soprattutto nei ristoranti, viene servito su un carrello che ne espone i vari tagli, brodo e salse di accompagnamento. Per essere definito tale il bollito misto piemontese deve seguire la regola del sette: sette tagli principali di manzo, sette ammennicoli, sette “bagnetti” o salse (tra cui il bagnet vert e ross e mostarda). A metà pasto, secondo la tradizione, andrebbe servito un “richiamo” (di solito dell’arrosto di lonza), insieme a sette contorni. Nato come piatto povero e contadino, derivante dalla necessità di utilizzare le carni degli animali anziani, non più adatti al lavoro, divenne ben presto una pietanza regale e da grandi occasioni, molto amata da Vittorio Emanuele II.
Sontuoso e tipico come il gran bollito misto è il gran fritto misto piemontese (fricassà mëscià, in dialetto). Un piatto curioso, anch’esso di origine contadina, nato in un’epoca in cui si macellava in casa e nulla doveva andare sprecato: si utilizzano, infatti, le frattaglie di animali come agnello, vitello o maiale insieme a ortaggi e ad alcuni dolci prima impanati nel pan grattato e poi fritti in olio bollente. I pezzi di carne utilizzati possono essere il fegato, polmone, cervella, animelle, filoni, granelle, testicoli e rognone. Non esiste una ricetta unica per il tradizionale gran fritto misto, perché molto dipendeva da ciò che si aveva a disposizione, ma non potevano mancare le frattaglie, per quanto riguarda il salato, e semolino dolce, semolino dolce al cioccolato, mela e amaretto, per il dolce, il tutto accompagnato da carote saltate in padella. Al giorno d’oggi si possono trovare molte varianti di questo piatto, con altri pezzi di carne, pesci e addirittura rane, altri ortaggi e dolci.
Sempre di derivazione povera e contadina è un altro piatto che al solo nome non si può non pensare al Piemonte: la bagna cauda (bagna caôda, in dialetto). Pietanza che si consuma ai primi freddi, è una salsa che deriva da una lunga cottura di aglio, olio e acciughe. Si serve nel fojòt, un tegame di terracotta o rame, tenuto costantemente al caldo da una candela o una fiamma. Bagna cauda, infatti, significa salsa calda, che va servita bollente e nella quale si intingono le verdure di stagione, cotte o crude: cardi, topinambur, patate lesse, peperoni cotti e crudi, patate, rape, verza, cavolfiore, per fare alcuni esempi. Può essere servito come antipasto, ma anche come piatto unico. È considerato una pietanza conviviale e di amicizia, un rito nato per stare insieme, proprio per la sua caratteristica di essere servito in un unico recipiente in cui i commensali immergono le proprie verdure. Il rovescio della medaglia, però, è la presenza di una generosa quantità di aglio che scoraggia per qualche giorno i contatti sociali.
Non sono tanti i primi tipici della cucina piemontese, caratteristica che risente dell’influenza della vicinanza con la Francia e della sua tradizione culinaria. Famosi sono gli agnolotti (agnòlot), pasta fresca all’uovo di forma rettangolare ripiena di carni miste, di cui esistono molte ricette e ripieni, che tuttavia hanno degli elementi in comune: carne arrosto e la presenza di un salume e di una verdura (tipicamente scarola, biete o spinaci). Una variante particolare degli agnolotti sono gli agnolotti del plin (o al plin), di piccole dimensioni e chiamati così per il pizzicotto utilizzato per sigillare la farcitura all’interno della sfoglia. Gli agnolotti e i plin posso essere conditi in molti modi, ma la tradizione prevede che siano accompagnati dal sugo di carne arrosto, dal burro e salvia, dal ragù di carne alla piemontese oppure dal brodo di carne. Un altro tipo di pasta tipico è il tajarin (tagliolini), sottile pasta all’uovo, che si classifica tra i capellini e le tagliatelle, ricca di tuorli e perciò di un colore giallo vivo, impastata con un pizzico di farina di mais e assolutamente senza acqua. La cottura è molto breve e sono ottimi accompagnati da una spolverata del celebre tartufo bianco d’Alba oppure con un sugo di salsiccia di Bra (che si mangia rigorosamente cruda).
Infine i dolci, dai biscotti secchi al cioccolato, dalle caramelle alle preparazioni al cucchiaio. Il più famoso è il bunet, un budino a base di uova, zucchero, cacao, latte liquore e amaretti secchi, che tradotto significa “cappello”: la degna conclusione di un pasto abbondante.
I biscotti più famosi sono molto semplici, a base di farina, uova, burro, zucchero e vaniglia: le Paste di Meliga e i krumiri. I primi hanno la particolarità di essere fatti con aggiunta di farina di mais, i secondi hanno una forma ispirata ai baffi a manubrio di Vittorio Emanuele II e sono il simbolo di Casale Monferrato.
Il bicerin è un altro marchio di tradizione piemontese: una bevanda calda composta da caffè, cioccolato fondente e crema di latte, servita in bicchieri trasparenti e tondi, che ne permettono di vedere la stratificazione. Il bicerin è l’evoluzione della settecentesca bavarèisa, che era fatta da caffè, cioccolato, latte e sciroppo, e la ricetta originale è custodita solamente e gelosamente dal “Caffè al Bicerin dal 1763” di Torino.
Infine la regina della cucina piemontese dolce: la nocciola. Famosa in tutto il mondo, la nocciola tonda gentile trilobata è un ingrediente fondamentale del gianduiotto, il cioccolatino torinese dalla forma a barca rovesciata, il primo ad essere confezionato singolarmente, che deve il nome alla celebre maschera di carnevale torinese (Gianduja, appunto)
Un’altra eccellenza è la torta di nocciole, anch’essa di origine contadina, particolare per essere prodotta con soli quattro ingredienti: nocciole, zucchero, uova e burro. È il dolce tipico di Cortemilia, paese delle Langhe, dove risiede la Confraternita della Nocciola Tonda Gentile di Langa.
Per concludere il viaggio nella cucina tipica piemontese un cenno ai cri-cri, cioccolatini travestiti da caramelle, tipici di Torino, dal cuore di nocciola tostata, ricoperta di cioccolato a sua volta ricoperto di mompariglia bianca (piccole palline di zucchero), avvolti in carte colorate, dai bordi frastagliati e arrotolati. Il nome particolare di questa leccornia è molto romantico e deriva dalla storia di due giovani innamorati a cavallo tra Ottocento e Novecento: il ragazzo portava sempre alla fidanzata Cristina questi cioccolatini e il proprietario del negozio, per celebrare questo sentimento puro, decise di ribattezzare il suo prodotto con il soprannome della ragazza (Cri).
Autore: Silvia Viola
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